Disagio, paura, tristezza, impotenza, drammaticità, terrore, volgarità, angoscia: durante la visione, queste emozioni ti travolgono.

Il film esplora il rapporto e la ricerca di affetto tra un figlio perduto e smarrito (non solo fisicamente) e i suoi genitori, in particolare la madre.

Emergono le paure più profonde del protagonista, trasformandosi in vere e proprie figure da combattere, ma Beau si sente impotente di fronte a tutto ciò e viene sopraffatto dagli eventi.

Beau, come suggerisce il titolo, è pervaso dalla paura dall’inizio alla fine del film, tranne che in ipotetici scenari in cui viene ritratto come un individuo felice e senza timori, come se nei suoi sogni ci fosse il desiderio di liberarsi da una madre oppressiva che lo tiene legato a sé.

Il ruolo sembra su misura per un attore formidabile come Joaquin Phoenix, mentre la regia di Ari Aster si distingue per la sua costante cura estetica, garantendo una visione completa delle scene dall’inizio alla fine.

La durata eccessiva del film permette allo spettatore di accumulare emozioni come lo stress e la sensazione di impotenza, trattenendole fino alla conclusione.

“Beau ha paura” si presta a interpretazioni diverse, motivo per cui ci saranno persone che apprezzeranno il film e altre no. Questo sembra essere l’obiettivo che Ari Aster ha voluto raggiungere con la creazione di questa opera: suscitare dinamiche e domande personali diverse in ognuno di noi.

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